A volte basta poco per ricordare come eravamo. Noi,
trogloditi selvaggi cresciuti nei paesi, che vagavamo come zingari; che
esistevano gli schiaffi se ci comportavamo male; che le feste in nostro onore
erano così così. Era un'infanzia spericolata.
Ne è passato di tempo da quelle ginocchia sbucciate,
da quella polvere addosso che ci abbronzava il viso, da quel sudore che
accompagnava le ricerche di misteri inesistenti. Bene. Adesso per strada trovo
poco di allora. I bambini sono sempre più deresponsabilizzati, controllati,
segregati, tenuti mano per mano, iper allarmati per un taglietto millimetrico,
piangenti, urlanti, drogati di nintendo
e, perché no, coglioni.
Noi no, non conoscevamo il significato della parola
tecnologia. Non volevamo l’i-pad per il primo compleanno. Non ostentavamo
marche da passerella. Probabilmente eravamo il trofeo di mamma e papà, ma
questa era una cosa che restava tra noi. Chi più, chi meno, accettavamo quello
che ci veniva dato, stavamo con chi dovevamo stare, vestivamo in base alla
nostra età e situazione economica reale. Eravamo felici così: bambini, tutti
uguali, e inconsapevoli delle ingiustizie del mondo.
Forse, se non siamo completamente rincoglioniti, lo
dobbiamo ai nostri genitori. Indaffarati col lavoro (per garantirci una benedetta
vita migliore), ci hanno cresciuto con le giuste dosi di severità e fiducia.
Ah, le famiglie di un tempo! Erano meno sentimentaliste:
nessuna superficialità né fronzoli per compleanni e occasioni varie.
L’importante, come diceva nonno, era che i bambini avessero sempre la pancia
piena. Poi a vivere lo imparavano da soli, ché mica ci vuole l’abbecedario per
fare esperienza. Erano più unite nonostante le problematiche. Adesso i figli di
divorziati sono la maggioranza. Si abituano in fretta ad essere sbattuti qua e
là senza un momento da godersi a cazzi loro.
Un’immagine di famiglia del passato, che oggi
verrebbe definita screanzata, un po’ me l’ha ricordata un bimbo cinese. La foto
in basso è la dimostrazione di un metodo diverso di crescere la prole. Forse un
po’ randagio e inusuale, ma più vicino alle leggi della natura. Il bambino sta
dove sta la sua progenitrice. Mamma è a lavoro e lui dorme accanto a lei. Sì, in
uno scaffale. In vendita? Non credo. È un maschio, quindi una benedizione nel paradigma
cinese.
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Vendesi arte dell'arrangiarsi |
Se mi fermo a pensare, non trovo in me né sorpresa,
né stupore. Vedo solo un essere umano iniziato all’arte dell’arrangiarsi.
Sorpresa e stupore dovrebbero colpirci piuttosto con genitori impegnati a
diseducare i figli. Come? Facendo vivere loro una vita che non possono
permettersi, abituandoli all’apparenza, coprendoli di gingilli inutili,
nutrendoli con cibi equiparabili al veleno, privandoli delle attenzioni sane di
cui avrebbero bisogno. Forse che, nella sua stranezza, la Cina deve farci da
esempio?
Daniela Melis
Daniela Melis